Dizionario Geografico Angius - Casalis
Commercio. I serdianesi vendono quello che sopravanza a’ loro bisogni a’ negozianti di Cagliari e qualche parte anche ne’ paesi vicini.
Dalla vendita de’ frutti agrari e pastorali probabilmente non ottengono per media più di ll. 30 mila all’anno.
Serdiana tiene lontani per men d’un miglio Sicci a levante e s. Pantaleo verso il greco, da Monastir, o Moristene verso il ponente per migl. 5. 2/3, e Cagliari verso l’austro per poco più di 9.
Le strade non sono difficili in tempo asciutto, lo sono nell’inverno e anche nella primavera, se sia piovosa, il che però è raro.
Religione. La parrocchia di Serdiana era già compresa nella diocesi di Dolia (S. Pantaleo); ora resta sotto la giurisdizione dell’arcivescovo di Cagliari, ed è amministrata da un vicario assistito da altri tre preti.
Le decime appartengono alla mensa del prelato.
Il titolare delle chiesa è il Santo Salvatore. Essa, come generalmente tutte le altre parrocchie, che appartengono a vescovi o canonici, è povera di arredi sacri.
In questa parrocchia vedesi una iscrizione, della quale prese copia l’archeologo D. Ludovico Baïlle.
Dentro il paese non è altra chiesa, ma solo un oratorio attiguo alla antica casa del barone.
Nel territorio ora sussiste una sola chiesa, ed è denominata da s. Maria con l’aggiunto di Sibiola, la quale trovasi a migl. 1 1/2 dal paese verso ponente-libeccio, a piè delle colline che abbiamo indicato sorgenti intorno al ponente.
In altri tempi ne esistevano altre, delle quali, ora restano appena le vestigie o la memoria.
S. Demetrio era una chiesetta molto prossima all’abitato dalla parte di sirocco, la quale già cadde da settant’anni.
S. Lucia trovavasi in sulla via a Monastir a distanza di più di un’ora e ora restano in piedi le sole mura.
Un’altra chiesa, di cui ignorasi il titolare, era nella regione, dove fu già l’antica popolazione di Modolo, che trovassi nominato nelle antiche memorie.
La festa principale che si celebra in questo comune è per il titolare suddetto della parrocchia, e ricorre ogni anno nella seconda domenica di maggio.
In occasione della medesima convengono in Serdiana molti ospiti, massime da’ paesi vicini; si corre il palio, e se il ricolto prometta bene si accendono fuochi artificiali.
Nella chiesa di s. Maria si celebra la festa di s. Daniele nel maggio, e quella dell’Assunzione, sotto il qual titolo fu dedicata. È di struttura antica, ed ha nella facciata una iscrizione, che finora nessuno ha saputo leggere.
Antichità. Si conosce un solo nuraghe in questo territorio a un quarto d’ora dall’abitato verso libeccio, ma è distrutto da gran tempo e restano sole le maggiori pietre delle parti inferiori, lunghe alcune circa metri 2 e larghe più d’uno. Le minori degli ordini superiori sono state tolte per materiale delle costruzioni. A giudicarne dalle fondamenta erano ivi due nuraghi prossimi o congiunti, a’ quali resta il nome, comune in molte regioni della Sardegna meridionale, de domu dess’Orcu. Il sito però e la regione ha l’appellazione di Nuraxi.
Furono entro la circoscrizione di questo territorio alcune popolazioni:
La prima presso la chiesa di s. Maria di Sibiola, la quale ebbe questo nome, che trovasi menzionato nelle antiche carte. Ignorasi in qual tempo sia mancato del tutto; solo si sa che gli ultimi abitatori andarono a domiciliarsi in Serdiana, come fecero quelli degli altri paesi abbandonati.
La seconda in Modolo, dove abbiamo indicato essere quella chiesa di sconosciuto titolo.
La terza presso s. Lucia, della quale però resta ignoto il nome come prova la gran quantità di pietrame che trovasi nel terreno intorno alla chiesa.
Vuolsi sia stata popolazione anche nella regione che dicono Mogori.
Il P. Aleo, dove nominò le popolazioni spente entro i territorii de’ villaggi allora esistenti, notava, oltre Sibiola e Modola, quattro altri paesi che erano detti Baladri, Turrecasu, o Turri de casu, Nuraceddu, e la villa di S. Gemiliano. Nel articolo di Sesto occorrerà di parlar di alcuni di questi paesi.
Serdiana insieme con Donòri era compreso nel marchesato di s. Saverio.
I diritti che esigeva il feudatario da ogni vassallo erano di 4 imbuti di grano, 4 d’orzo, e 4 di fave; di più uno scudo, un soldo e denari sei, quindi la metà del seminato d’ogni specie nel salto di Portadiga, ed altri diritti, che pretendea il marchese, che i vassalli gli ricusavano, e per i quali si litigò presso la R. Udienza.
Data di ultima modifica: 19/10/2016